Tra Facebook, Avvenire e Sat2000

logo_sat2000Sono appena tornato dal convegno “Chiesa 2.0 in rete”, contento di aver partecipato, felice di aver ritrovato vecchi amici e averne conosciuti altri, togliendoli finalmente dalla sfera virtuale. Del convegno se ne è parlato sulla stampa a vari livelli: affermazioni riguardo a Facebook non sempre vere, come chiarisce bene don Paolo, analisi più o meno condivisibili, resoconti finali doverosi.

Al convegno ho lanciato insieme a donMo un gruppo su Facebook con il nome “Chiesa 2.0”. I tempi erano maturi, il convegno ha aiutato la riflessione, in poche ore si sono iscritti più di 50 utenti. Ne parlo oggi alle 17.30, se l’intervista non verrà tagliata, nella trasmissione Mosaico su Sat2000. All’interno dell’intervista su Religione 2.0 ho accennato anche alla creazione di Irc 2.0 e del gruppo su Facebook. Ieri su Avvenire era già uscito un articolo che citava il blog e il social network degli irc. Ma alla fine di tutto, dopo un bagno di stampa, di reti e di tv, stamani torno dai miei alunni a raccontare loro ciò che veramente conta…

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Commenti

  1. Christian scrive:

    Peccato che non ci hai detto che c’era il sito e si poteva accedere in diretta!!!…o non lo sapevi??? :-)

  2. Luca scrive:

    Non lo sapevo Christian mi spiace…

  3. Christian scrive:

    ma dai, ne ero certo… che peccato, pero’!!!

  4. Silvio scrive:

    Mi raccomando Luca…voglio la registrazione di stasera! :-)

    @Luca & Christian: non seguite il mio blog…ahi ahi ahi :-D
    Avevo scritto che c’era la possibilità di vedere il tutto on-line.

  5. Luca scrive:

    Io la registro ma tu la puoi mandare online?

  6. Silvio scrive:

    Non credo che si arrabbino per qualche minuto…altrimenti Chiesa in Rete 2.0 a che è servito ? :-P

  7. Luca scrive:

    Ok te la farò avere…

  8. donMo scrive:

    Ho visto, molto ma molto bravo a spiegare tutto con poche frasi sintetiche, cosa niente affatto facile:)
    Ora speriamo che Silvio riesca a metterla online.

  9. carmine rizzo scrive:

    MINISTRO GELMINI, QUELL’ESPRESSIONE NON VA ………E NON SOLO

    Alla cortese attenzione dell’onorevole Mariastella Gelmini
    e p.c. Presidente CNUDD Prof. Paolo Valerio

    Oggetto: osservazioni sull’espressione “studenti diversamente abili” utilizzata nel decreto per i criteri ripartizione stanziamento per interventi studenti diversamente abili anno 2008
    Illustrissimo Sig. Ministro,
    sono un operatore che lavora da anni nel campo della disabilità e in particolare nei Servizi universitari di supporto agli studenti universitari con disabilità.
    Le scrivo sollecitato dalla lettura del Decreto Ministeriale 28 agosto 2008 prot. n. 159/2008, da Lei firmato, in cui campeggia l’espressione “studenti diversamente abili”, sulla quale vorrei proporLe alcune brevi considerazioni.
    Mi permetta di partire da una frase illuminante di Giuseppe Pontiggia apposta come dedica a un suo bel libro: «A tutte le persone disabili che lottano, non per diventare uguali agli altri, ma se stessi». Tale dedica ci interpella tutti, nessuno escluso.
    In nessun ambito della vita le parole sono chiacchiere, tantomeno nell’ambito del sistema formativo formale (quello di Sua competenza come Ministro): nella correzione dei temi contano perfino gli accenti e gli apostrofi, si immagini quindi il peso specifico delle parole! La mia non vuole essere una mera disputa lessicografica o semantica, nell’uso di certi termini sono in ballo questioni più profonde, che concernono il rispetto vero delle persone, delle loro storie di vita e della loro condizione esistenziale.
    L’espressione “studenti diversamente abili” è sempre più diffusa nel mondo dell’informazione e della politica, ma moltissimi fra i più competenti, preparati e appassionati operatori italiani nell’area delle disabilità hanno eccepito vigorosamente su di essa. Le riporto alcuni esempi: la teologa Adriana Zarri scrive che questa «ridicola e ipocrita definizione rappresenta il colmo dell’imbarbarimento e, in fondo, dimostra una mancata accettazione di uno stato di difficoltà»; Andrea Pancaldi parla di termine «carico di ambiguità»; il giornalista Franco Bomprezzi denuncia una «deriva linguistica che, nell’enfatizzare le capacità di alcuni, ignora le persone con maggiori difficoltà». Carlo Giacobini, poi, descrive il “neologismo” con acuta ironia come «un ansiolitico linguistico, utile al massimo a mettere in pace la coscienza di coloro che non si sono mai fatti carico sino in fondo di questi problemi».
    Personalmente ritengo che si tratti di un tentativo maldestro di “sdoganare” le disabilità, rimuovendo (o se si preferisce camuffando) le difficoltà reali che assillano giorno per giorno gli studenti universitari con disabilità. Invece di lottare per affermare nella prassi quotidiana il diritto all’uguaglianza di opportunità, si inseguono goffamente modelli efficientisti ed estetici. Qualcuno potrebbe obiettare che l’espressione mira a valorizzare le abilità residue (quando ci sono), il che è sicuramente doveroso ma ha come indispensabile presupposto il riconoscimento leale e oggettivo delle limitazioni delle attività, non la loro rimozione attraverso operazioni di ‘cosmesi comunicativa’.
    L’inserimento e l’inclusione sono possibili, da una parte, mediante provvedimenti amministrativi che favoriscano i progetti di vita indipendente di ciascuno (e quindi mettendo in campo investimenti); dall’altra, attraverso processi culturali di accettazione lunghi e complessi, che non solo non passano attraverso la proposta di nuove e ambigue definizioni ma possono addirittura essere da esse ostacolati.
    Gli studenti universitari con disabilità hanno bisogno di servizi, e non di questi biglietti da visita ingenui, e anche fuorvianti.
    Infine, vale la pena ricordare che il termine diversamente abile non ha nessun rigore scientifico, né alcuna valenza sul piano legislativo ed è intraducibile in altre lingue. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, che il 22/5/2001 ha approvato la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, suggerisce di usare il termine “persone disabili” o “persone con disabilità”.Mi auguro, Sig. Ministro, che non voglia liquidare questa mia lettera come un semplice esercizio di pedanteria e puntigliosità semantica, ma intenderla come un piccolo contributo sulla strada da percorrere per la piena promozione dei diritti di cittadinanza delle persone con disabilità e per la creazione delle condizioni perché possano essere se stesse e non quello che noi vogliamo che siano.
    E allora, mi creda Sig. Ministro, tutti noi saremo più autenticamente noi stessi.

    Napoli 19/01/2009
    Carmine Rizzo

  10. Luca scrive:

    Dici? Io di solito non ci tengo e non mi piaccio… Mi fido però del tuo giudizio… Hai visto che ho lanciato “Chiesa 2.0” su Facebook anche lì?

  11. Luca scrive:

    Carmine questa tua lunga lettera non è stata inserita nel post giusto, comunque per correttezza l’ho approvata. Avevo altri post sulla Gelmini nei quali potevi fare il tuo intervento :)

  12. Christian scrive:

    Grande Magister…su Mosaico… :-)

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